Societas Crucis – Le origini

Non v’è dubbio nell’attribuire al Rione Croce Bianca un ruolo di predominante importanza all’interno della geografia territoriale della Città di Foligno, così come non c’è ragione di non credere nella possibilità di viaggiare idealmente nel tempo.

Immaginiamoci allora di calarci nelle vesti di un viaggiatore che, a cavallo tra i secoli, si ritrovi a visitare i luoghi storici della nobilissima “Societas” o “Compagnia” di Croce Bianca.

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La porzione di terreno su cui oggi sventolano le bandiere biancorosse, infatti, rappresenta un agglomerato urbano che dall’attuale Porta Ancona (in antichità denominata “Porta Abbadia”) si estende verso sud-est rispetto al contesto murario interno dell’urbe cittadina, addentrandosi dapprima lungo Via Garibaldi (ex “Via di Porta Abbadia”) e intersecandosi poi con Via Umberto Primo (ex “Via della Croce” in virtù del fatto che fosse presente il Monastero Benedettino della Croce a ridosso delle mura), fino ad arrivare ad un’altra delle cinque porte folignati, nonché l’unica tuttora visibile della Città di Foligno, quale è Porta San Felicianetto (già “Porta della Croce”, stando alle iscrizioni del passato).
Secondo la proiezione esterna rispetto al circuito delle mura cittadine, invece, l’area rionale può annoverare un vasto terreno che comprende i recenti quartieri residenziali dell’imminente periferia e una parte delle frazioni collinari che costeggiano la catena appenninica umbra e parte della montagna folignate.

Tuttavia, muovendo i passi dalle riflessioni attuali, vanno considerate le divergenti fattezze della Foligno barocca, epoca in cui venne redatta l’opera “Stimolo Generoso de Virtute” (1613), autentico bando di sfida realizzato dall’allora Cancelliere Ettore Thesorieri (o Tesorieri) su cui nacque successivamente, ma solo nel 1946, l’idea di ripresentare nella nostra città un torneo cavalleresco come la Giostra della Quintana, capace di rievocare, sebbene con le dovute modifiche tecniche dettate dai più svariati fattori, lo spirito di una Foligno che nel Seicento conobbe un notevole prestigio, sia per ragioni legate alle arti manifatturiere, letterarie e scientifiche, sia per la straordinaria posizione della città lungo le vie mercantili italiane di allora.

La configurazione delle contrade (o Rioni), effettivamente, appariva in maniera differente e sicuramente più ampia da un punto di vista numerico: solo dieci sono oggi le contrade rimaste, mentre altrettante (se non di più) risultano scomparse o inglobate nel tessuto cittadino.

Per quanto riguarda il Rione Croce Bianca, si può quasi certamente affermare che derivi il proprio nome dall’antico “Rione Croce”, su cui tuttavia oscura cinge l’ombra dell’originaria denominazione.

Se da un lato si può correttamente asserire che nello slargo antistante l’attuale incrocio tra Via Garibaldi e Via Umberto Primo (dove è ubicata l’odierna Chiesa del Suffragio, all’epoca inesistente) fu eretta, in memoria del martirio del Santo Patrono Feliciano avvenuto nell’Anno Domini 251, una colonnina/altare in pietra che fungeva da piedistallo su cui sormontata appariva una candida croce mauriziana ovvero un Tabernacolo con un Crocefisso (poi rimossa nel 1861); dall’altro lato non va dimenticato che la zona dell’antico rione conobbe la più alta concentrazione cittadina di monasteri e conventi.

Le fonti storiografiche e demografiche ci parlano del Rione Croce come di una società composta da ben 135 fuochi (o famiglie), tra cui i Butaroni, antichi padroni dell’edificio ove oggi si trova la sede rionale nonché la Taverna del Fedele, e di una posizione strategica per i rapporti con gli ecclesiastici, identificabile nella fetta di terreno a cavallo tra i monasteri dell’ancora esistente Via dei Monasteri (nella quale, peraltro, pare che vi fossero ben sei edifici di questo tipo), nonché nella zona in cui si stanzia il cinquecentesco Oratorio della Nunziatella (che dal 1491 divenne santuario civico in onore della Vergine Annunziata, ospitando sopra gli altari ed in particolare su quello dedicato a San Giovanni Battista anche l’opera tutt’oggi visibile del Battesimo di Cristo dell’autore Pietro di Cristoforo Vannucci detto il Perugino, già maestro di Raffaello Sanzio tra il 1494 ed il 1498).

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Passeggiando tra le vie di Croce Bianca ai giorni nostri è inevitabile il fatto di non notare i concentrici vicoli che dal cuore pulsante della taverna si estendono progressivamente verso l’esterno fino a sfiorare i confini delle mura.
Partendo da Via Butaroni le geometrie perfette del quartiere biancorosso procedono nell’espansione racchiudendo preziosi monumenti, palazzi gentilizi, siti di riconoscibile rilevanza artistica e ecclesiastica, rimasti talvolta quasi appartati rispetto al resto della città,  ma non di certo così nascosti da non esser di rilievo per la tradizione folignate: dalla Piazzetta Giacomini o del Seminario (su cui sorgeva l’Abbazia di Santo Leonardo poi trasformato nel Santuario della Madonna delle Lacrime ed oggi trasferitosi col nome di chiesa di Sant’Agostino, all’interno della quale si venera da più di tre secoli l’incoronata Madonna del Pianto, che si affaccia col suo maestoso impianto di laterizi a pochi metri di distanza direttamente sulla Piazza Garibaldi) ai palazzi Merganti e Clarici con la loro impostazione architettonica seicentesca, fino alla facciata in stile manieristico-barocco del Palazzo Giusti-Orfini (edificato a cavallo tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento) contenente un prezioso ciclo di affreschi sacri e profani che fa da ornamento alle sue splendide sale.
Ed ancora, dallo slargo antistante Via Nicolò di Liberatore detto l’Alunno (in cui fino al periodo a cavallo tra il terremoto del 1832 ed i moti tumultuosi del 1849 poteva ammirarsi la romanico-gotica chiesa di Santa Maria Maddalena nella quale erano racchiuse le spoglie del celebre architetto folignate Giuseppe Piermarini) all’ellittica cupola tardo barocca della Chiesa di Santa Maria di Betlem (già “chiesa del Corpo di Cristo”) fino a Palazzo Cirocchi, Palazzetto Accorimboni ed agli altri due luoghi che tuttora possono essere annoverati tra i principali punti d’interesse artistici della Città di Foligno: il Monastero di Sant’Anna o delle Contesse ed il Monastero di Santa Caterina e della chiesa di San Sebastiano.

Che il primo dei due sia stato reso famoso soprattutto per una ragione ben precisa è presto detto.
Fu proprio in questo complesso monastico delle Contesse della Beata Angelina di Marsciano, già ricco di affreschi e dipinti di straordinario valore, che l’umanista di origine folignate Sigismondo de’ Conti (o de’ Comitibus) fece commissionare l’opera la “Madonna di Foligno” (1511-12) di Raffaello Sanzio, realmente sopraggiunta in città verso la seconda metà del sedicesimo secolo grazie alla nipote del donatore stesso (tale giovane monaca Anna Conti) per poi esser dapprima trafugata dai francesi e successivamente recuperata e trasferita presso la Pinacoteca Vaticana ove è attualmente esposta.
Altra caratteristica interessante della parte posteriore del monastero risulta essere l’odierno “Oratorio della Beata Angelina”, che altro non è se non l’antica casa natia di Nicolò di Liberatore detto l’Alunno, artista del Rinascimento umbro descritto dal Vasari come un pittore che “faceva alle sue figure teste ritratte dal naturale e che parevano vive”, nella quale vengono velatamente a delinearsi, lungo le pareti della dimora, una serie di immagini stilizzate e ritratti realizzati talvolta con un punteruolo dall’artista stesso per predisporre le bozze e gli appunti dei suoi lavori.
Per quanto riguarda il secondo, invece, si tratta di una delle pochissime “isole” medievali perfettamente conservate da una Foligno sempre più moderna.
La vasta gamma di opere racchiuse nel monastero, che in passato fu costruito con lo scopo di diventare Ospedale della Trinità (1374) da parte di alcuni eremiti agostiniani e solo dopo varie vicissitudini ecclesiastiche pervenuto alla forma odierna, è di indubbio valore, anche in considerazione del gioco di luci tra chiaro e scuro che si attanagliano nel cammino esterno tra i vicoli acciottolati a ridosso del baricentro rionale corrispondente odiernamente con la Taverna del Fedele.


 

Ed è proprio nella Taverna del Fedele di quello che viene comunemente (ed erroneamente) definito come “Palazzo Butaroni” che si chiude il nostro cammino tra secoli di storia, misticismi legati a rituali religiosi, esempi di architetture tipiche di una Foligno davvero senza tempo…

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